APPELLO PER I PROFUGHI ROHINGYA IN BANGLADESH

Una tragedia umanitaria

di Pietro Mariani

La visita del Papa in Bangladesh dello scorso novembre ha portato alla ribalta dei mass media le disastrose condizioni in cui i Rohingya vivono nei campi profughi al confine con il Myanmar. Si parla di un milione e mezzo di persone.

La discriminazione di questa minoranza musulmana nel Myanmar, stato a maggioranza buddista che non accetta la loro integrazione e da sempre li considera stranieri, è correlata al fatto che dal 1948, anno dell’indipendenza dalla Gran Bretagna, il Paese non ha mai visto la pace, complice una rigida dittatura militare, che solo recentemente con la nomina a Primo Ministro del premio Nobel per la pace San Suu Kyi’s si sta avviando verso un certo sviluppo democratico.

Tuttavia il potere dei militari nel Paese rimane molto forte e la conseguente limitata capacità di azione di San Suu Kyi’s e del suo partito NLD (National League for Democracy) hanno fatto sì che la questione dei Rohingya, gestita in modo crudele e disumano con l’espatrio forzato di massa e l’uccisione di molte persone, è da considerare una vera e propria catastrofe umanitaria.

Il loro rimpatrio, per cui i due governi stanno cercando un accordo, è questione difficile e complessa sia per il ragionevole timore che si ripetano le discriminazioni e le crudeltà già avvenute sia per gli interessi economici esistenti nelle terre prima occupate dai Rohingya.

L’otto marzo, durante la mia visita in Bangladesh, accompagnato dall’amico Lino Swapon, Direttore della ONG locale Dalit, sono partito da Cox’s Bazar, città turistica dalle belle e lunghe spiagge, diretto al più grande dei campi profughi Rohingya, ubicato nel Comune di Kutupalong, sub Distretto di Ukya, Distretto di Cox’s Bazar, in cui è ospitato circa un milione di persone. Il campo profughi è una immensa impressionante baraccopoli dove rifugi di fortuna in bambù con tetti in plastica si estendono a perdita d’occhio per chilometri.

L’arrivo della massa dei profughi, iniziato nell’agosto 2017, ha causato il disboscamento indiscriminato di un ambiente collinoso e ricco di vegetazione, ora ridotto a deserto e molte baracche, ubicate sui pendii collinari disboscati, corrono il rischio di crollare con l’arrivo delle piogge monsoniche con conseguenze disastrose per le famiglie rifugiate.

Nel campo sono presenti numerose ONG e Organizzazioni internazionali tra cui l’UNHCR (Nazioni Unite), Unicef, Save the Children, Action Aid ecc. impegnate nelle più svariate attività umanitarie, dall’organizzazione degli spazi alla fornitura di viveri e materiali di prima necessità, all’installazione di sistemi per l’acqua potabile, alle scuole e centri per bambini/ragazzi, al soccorso medico. In questo ambito, in un settore che comprende circa 6000 famiglie,  dal dicembre 2017 è impegnata anche la ONG Dalit, che ha installato un ospedale da campo ed effettua interventi sanitari impiegando sia proprio personale che alcuni giovani Rohingya come traduttori in quanto molti rifugiati non parlano il bengalese e utilizza soprattutto medicine Ayurvediche, prodotte dal laboratorio Dalit di Chuknagar, molto apprezzate dai profughi.

La ONG Dalit, appoggiata dal COE, che si è impegnato nella ricerca dei fondi e di documentare la situazione emergenziale, continua con senso di responsabilità a sostenere con le proprie forze il popolo Rohingya. Tuttavia le sue risorse sono limitate e questi interventi non potranno durare a lungo se non ci sarà il supporto finanziario di ulteriori persone di buona volontà.

Per informazioni, donazioni ecc.  contattare:

Pietro Mariani – Responsabile COE progetti Bangladesh

cell.  334 1135555   |   e-mail:  p.mariani@coeweb.org



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